venerdì 9 ottobre 2015

Io la chiamo vita



Giulia e Alessandro è citato in un romanzo! Io la chiamo vita, di Antonio Perrone.


martedì 15 settembre 2015

Capitolo XIV

Capitolo XIV

Mi hai chiesto di incontrarci sono passati sei mesi. Sei mesi  in cui non ho avuto notizia di te, niente, neppure uno scarabocchio, un segnale di fumo, qualcuno che mi dicesse che stavi bene. I tuoi amici hanno smesso di salutarmi e tutta la città sembra invece urlare il tuo nome, sento il tuo odore nell’aria, i camini effondono la loro fuliggine nel cielo e i tetti rossi divengono neri come il dolore. Delle volte parlo ancora con te, quando devo prendere una scelta importante e quando la mattina devo scegliere il vestito. Ogni spazio vissuto da noi mi trasmette le immagini belle, quelle delle nostre primavere, quelle dei nostri sorrisi. Sono ritornata in Croazia, sai? Ho ripercorso tutte le tappe che abbiamo fatto insieme. Il primo giorno quando abbiamo litigato su quella insopportabile salita assolata, il molo dove l’acqua cerulea diveniva specchio dei nostri corpi intrecciati e adagiati eleganti su di un vecchio pontile marrone, sono andata nel ristorantino che piaceva a te, dove mangiavi gli gnocchi, ricordi? Il brivido di provare nuove cose o piatti tipici non è stato mai il tuo forte, sono stata poi nel pullman, quello che per colpa mia ci ha condotti per tutta la città. Ho vissuto tra l’illusione che tu eri affianco a me e la consapevolezza che non c’eri. Nonostante queste immaginazioni che sono il proseguimento irreale della nostra storia a cui non mi sento di dover rinunciare ho costruito una vita, nella quale tutto sommato ho trovato un equilibrio, ma non sono felice. Ed ora invece immersa tra le lacrime, coi capelli sparsi e nodosi, cammino avanti e indietro per la stanza e subito scelgo. Scelgo di vederti, non potrei mai fare diversamente. Alessandro io ti amo, ancora e per mille anni. Non conosco altre parole che siano le nostre, altri corpi abbracciati, altri sguardi, altre risate, altri litigi, non conosco una vita senza te. Sei mio perché insosistituibile, perché la tua fragilità è la naturalezza che voglio. Io mi ci perdo nei tuoi occhi, io per te muoverei il mondo, sposterei montagne, bloccherei i corsi dei ruscelli, io sarei Alcesti per te. Lasciati amare, lascia che mi prende cura io di te, lascia che raccolga la tua persona e rendimi tuo, farò anche io altrettanto, mi farò curare da te, nelle mie nostalgia e nei miei dolori.
Ci vediamo alle diciotto, questa è la stagione dei tulipani bianchi.

Giulia.

giovedì 10 settembre 2015

Capitolo XIII

Ieri sono andata nei pressi dei giardinetti di casa mia, quelli pieni di giochi per bambini, quelli con le margherite giganti che fungono da telefono senza fili. Ci sono andata e ho gridato forte: ti amo, come eravamo soliti fare noi, Alessandro. Una volta, non appena tu iniziasti a guidare, io ti comprai una piccola macchinina e per rendere la cosa più tenera, forse quel giocattolino era un dono troppo misero, volevo nascondermi in quei giardinetti, t’avrei inviato questo messaggio “cercami dove i fiori diffondono il nostro amore’’. Poi feci tardi e non lo feci. Io vorrei rendere ogni avvenimento della tua vita il più bello di sempre, e ti chiedo scusa se non l’ho fatto, se non ti ho capito, se presa dalle cose che dovevo fare, ho trascurato le tue esigenze.  Quanto vorrei fossi qui tra le mie braccia, quanto vorrei baciarti, quanto vorrei piangere, come sto facendo ora. 

                                                                                                                                                         Giulia


domenica 6 settembre 2015

Capitolo XII

XII


Avete mai amato così tanto una persona da piangere di commozione quando la stringete tra le braccia… e piangere, ancora, per ogni sua assenza, minima, giornaliera… eppur sempre smisurata, incolmabile?
Avete mai amato davvero? Al di là della retorica, stupida, meschina e sempre banale, mai vera o genuina. Al di là di ogni convenzione, al di là dell’abitudine, del bello, del piacimento, del puro e limpido ideale di bene?
Amare è soffrire: Mai fu inventato binomio più esatto. È la giusta conseguenza che deriva dall’abbandono di ogni certezza, di ogni convinzione che sia mai stata posseduta dal singolo. Amore è l’estremo atto di altruismo, di eroismo, di letteraria tragicità. Amore è rifiuto di se stessi, degli altri, del mondo. Amore è lotta, scontro, battaglia… mai guerra. Amore è. E non sa avere. Amore muore, risorge, cade, muore, risorge.
Amore non ce la fa, e resta sempre in gioco.
Amore non vuole, eppure è sempre in atto.
Amore non basta, e non chiede abbastanza.
Amore non chiede.
Il ramo secco della stagione invernale, flebile, cadùco, è forse la rappresentazione più chiara di Amore, e non va spiegato. L’amore non si spiega. L’amore è metafora, è astratto, è vuoto (non vacuo).
Amore è insito nel concetto di passione; è passivo, introverso, sofferto. Davvero molto simile al patire, l’amore sopporta. Però è paziente, non si stanca, mai.
Arriverebbe sul punto di uccidere, l’amato e l’amata, ma non se stesso. L’amore non è autodistruttivo, non in senso stretto.
Amore è tutto, e niente. D’amore possono parlare tutti, e nessuno. Per amore un uomo nasce, per amore (a volte) un uomo muore. Io per amore sono impazzito, ad esempio (e non sono neanche il primo). Ho provato a spiegarlo, a dargli un senso, un nome, un volto deciso. Ma l’amore non si decide, l’amore non si capisce. Ho perso tutto.

Primo mese di terapia in Villa Angela. Settembre 2015.





venerdì 4 settembre 2015

Capitolo XI


XI


Eppure credevo d’averti perso. Invece no. Io non so più chi sei, dove sei, eppure ho ancora la certezza di essere tua. Ero convita che fosse il solito periodo di allontanamento, ti ho scritto miliardi di lettere e non ho mai ricevuto alcuna risposta. Come puoi farmi questo? Come puoi riempire la mia esistenza delle più rigogliose speranze e promesse e poi sparire nel nulla? Non è l’orgoglio di una donna abbandonata a scrivere, ma un cuore lacero e straziato. Sei andato via così, senza darmi la possibilità di replicare e ora non dovrei neppure scriverti. Io non ci credo più, io non conosco più il tuo nome, non riconosco più le sillabe delle tue parole e invece tu…
Tu eri la speranza che io avevo sepolto. Ti conobbi in un bar di cui non ricordo il nome, mentre tu ricorderai sicuramente, dialogammo a lungo, ricordi? Davo risposte veloci e distaccate, ma avevi un bel sorriso. Avevo un cappello alla francese e una maglia a righe, facevo i filtri per le sigarette con la copertina di un libro che detestavo, la cui materia sarebbe divenuta anni dopo l’oggetto della mia tesi di laurea in lettere classiche, all’epoca ancora non lavoravo e avevo cinto me stessa con mura assai spesse. Nessuno doveva conoscere il mio segreto, nessuno le mie lacrime per la morte di una persona avvenuta tanto tempo fa, nessuno poteva e doveva amarmi eccetto me stessa. Cosa volevi, uomo alto e con le  mani lunghe da pianista? Perché dopo il caffè non mi hai baciata? Te ne andasti  all’improvviso e io a stento ti diedi una fredda stretta di mano e poi corsi via, veloce, dio sa quanto mi sarei voluta voltare e quanto avrei voluto che mi inseguissi, non ho ma avuto il coraggio di dirtelo. Fui tua  in una notte di primavera, fui tua in una fedeltà che ti serbavo pur non concedendomi completamente,  e tu ne soffrivi. Poi l’amore tira le sue frecce e non appen fui distante da te, un desiderio puro mi conquistò. Fu allora che capitolai, e dovetti ammetterlo a me stessa.:’’ Giulia è crollata miseramente’’, quanto mi odiavo. Ero pronta a cedermi proprio quando tu avevi un’idea di me sbagliata, riflesso purtroppo di quanto io ti avevo indotto a  credere. E proprio nel momento in cui io volevo regalargli la mia debolezza tu ti ammalasti. Continuavo a cedermi nelle notti e nelle mattine d’agosto, gli abbracci erano stanchi e teneri, nelle notti afose rimanevano solo gli orgasmi a tenerci insieme. Io non riuscivo a recuperati e tu, io lo vedevo, io lo sapevo, nonostante tutto non riuscivi a guarire. Alternavo nel mio animo momenti di lucidità in cui ero convinta che tu mi amassi, a momenti di vacillante follia e dolore in cui attribuivo il tuo distacco ad un cieco egoismo. Io ti amavo, mi scolpivo nella tua essenza  e pure non riuscivo ad alzarmi, non smettevo di precipitare in quel baratro di assenza di me stessa, smisi di mangiare e mai smisi di piangere. Mi lasciasti il trenta agosto, e fu da quel giorno che io iniziai a soffocare, probabilmente non ho mai sofferto tanto nella mia vita.  Arrivai a credere che fossi morto, ma in quegli abbracci dati in alcune ore prestabilite nei giorni caldi di settembre tornai a crederci. I conti non potevano essere chiusi, non potevi essere morto, Alessandro, perché  io ti avrei tenuto in vita io grazie al mio sentimento. Quanto ero immatura a pensare  questo, e quanto ero pura: io ero convinta, pur avendo il mondo contro, che io ti avrei salvato, ti avrei portato a me, perché tu eri mio, e soprattutto perché quando le tue mani erano nelle tasche dei miei jeans era sempre la cosa più bella del mondo. Io credo e credevo nella forza totalizzante di questo sentimento, ed ho imparato a credere che delle volte ci si perde. I rapporti umani sono ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno e ciò che ci porta irremediabilmente a perderci, a dimenticarci di noi stessi, i legami richiedono l’intervento dellla ragione prima o poi. Essi sono un volo da un polo ad un altro: Oggi provo a guardare l'amore non come il frutto di un rapporto binario tra l'odio e l'amore. Provo oggi a vedere l'amore come il frutto di un processo di un continuo movimento, come una spirale formata da due corpi che gira sempre. Nella quale delle volte i corpi si muovono organicamente e sinergicamente, altre invece  ciascuno tende ad allontanarsi pur non perdendo mai quel punto di contatto. Ecco vedo l'amore come quel sentimento per il quale riesco ad essere perfettamente nell'altro, pur se l’altro è distante. L'amore è proprio di due essere viventi che mai riescono completamente a compenetrarsi ma ciononostante tendano necessariamente  a farlo, pur errando. L'amore muove il mondo perché comporta necessariamente il cambiamento, perché determina l'errore e comporta la sua risoluzione. L'amore è il solo e unico elemento che consente la vita, non importa verso chi o che cosa, basta che ci sia pur in questa forma l' errore e la risoluzione.


Spero che m'amerai nonostante gli errori è forse la cosa più reale che si possa dire. Io avevo e tutt’ora ho questa idea d’amore e nei giorni dimentichi di noi stessi cercavo di affermarla con prepotenza, invano. Lasciavo il cortile dei nostri incontri tra le molte lacrime, promettendo a me stessa che non sarei ritornata lì, cercavo di farmi coraggio, tentavo di convincermi che non eri la persona giusta, e che la vita era troppo breve per sprecarla così come facevo. Provavo ad allontanarti  ricordando quelle sere orribili d’agosto, quando avendo perso tutti e due il sonno, e giacevamo immobili nel letto, cercando di convincere l’altro che Morfeo ci avevo conquistato. Una sera fra tante tu ed io litigammo, tu mi prendesti il polso, e dicesti  che dovevo dormire, che dovevo smettere di piangere, che il giorno seguente avremmo dovuto studiare, io mi alzai e lasciai l’anello che mi avevi regalato sul tavolo, minacciai di andarmene, cosa che non mi impedii di fare. Non lo feci, non mi allontanai mai, neppure durante i litigi per strada. A distanza di anni guardo a questo periodo con sorriso, con la tenerezza, immaginando due ragazzi che provavano per la prima volta l’amore. Pur nella sofferenza e nell’esagerazione che avevano mostrato l’aspetto più terribile dell’uno e dell’altro, pur nelle ansie e nelle irrazionalità totali, se non avessi affrontato quel periodo, io oggi non sarei arrivata qui. Mi diceva, nei tuoi soliti noiosi, melodrammatici ed esagerati toni, che è necessaria la distruzione per creare la pace; mentre io, idealista e donna, sono un’eraclitea convinta: la dinamica oppositiva rende possibile l’affiorare del senso. Quanto ti  odiavo, Alessandro, quando distruggevi tutto il nostro rapporto, quando con la tua mania di perfezione volevi che le cose stessero sempre a loro posto dalla tazzina da caffè riposta dentro al mobile alla mia schiena dritta. Io pensavo chetui volevi distruggere completamente me stessa, la mia indole, il mio carattere, per plasmarmi e farmi divenire ciò che  volevi. Oggi ho capito che lo facevi per il mio bene, ma fino a quando si è disposti a cambiare, modificando se stessi per un’altra persona? Non c’era possibilità di risoluzione in quel periodo tu ancorato nelle tue rigide posizioni e io nei miei piagnistei. La prima volta che parlammo seranamente fu anni dopo, una sera dopo l’ennesimo litigio, d’estate a luglio, quando ero in procinto di scappare da te, etui mi invitasti a casa tua. Fu allora che smisi di piangere,fu solo allora. Io e te eravamo, quanto è bello e infantile dirlo, la coppia più bella del mondo, lo siamo sempre stati. Le persone non lo capiscono, né lo capiranno, mi hanno più volte invitato a desistere, ma io continuavo perché ? Perché l’amore è duplice tensione verso se stessi e l’altro. Non c’è amore senza lacrime, folli inseguimenti, non c’è amore che sia stasi, l’amore è movimento. E l’amore a vent’anni è lo sforzo più grande che esista perché a un tempo devi dare equilibrio a te stesso e all’altro. Ma poi io uno come te non lo avrei mai trovato, per quanto possa essere scontato. Alessandro mi hai fatto sentire per la prima volta piccola, mi hai stretto per la prima volta a te donandomi protezione, mi hai insegnato l’amore per la parola. Lo ricordo, come fosse ieri, tra le mani un libro, il tuo sguardo sognante ei tuoi occhi scuri come la terra,  mentre leggvi i tuoi libri. Io non ho mai visto altro più amante e coraggioso di te nella lotta che svolgevi contro te stesso per affermare l’amore per lo scrivere. Eri di una delicatezza estrema, di una dolcezza straordinaria, immensamente travolgente ed io ero con te, sempre. Amare significa lasciarsi travolgere dai sogni dell’altro e farli divenire propri, tu invece pensavi che a me non importasse o importasse poco, ma io un certo distacco dovevo mantenerlo. Tu eri così. Te ne andavi spesso, te ne sei sempre andato sin dal primo mese di relazione, ma tornavi sempre. Dopo due ore, dopo un giorno, dopo tre giorni. Eri fatto così. Avevi bisogno sempre di ricordare e comprendere te stesso, tu non concedevi a te stesso di perderti. Testone, amore mio, io questa cosa non l’ho mai capita, né la capirò mai. Ma non è detto tuttavia che debba completamente capire ogni cosa di te. Certe volte bisogna accettare le cose e basta, ma ora dove sei? E’ passato troppo tempo, io non ce la faccio, la mia vita prosegue, puoi essere soddisfatto, tra le solite lezioni e la preparazione per il concorso, ma io non posso più chiederti nulla, non posso rivolgermi a te per un aiuto, né fare una passeggiata liberatoria, né carezzarti i capellini sotto le coperte di inverno, o mangiarci le nastrine, te lo ricordi? Non l’abbiamo mai fatto. Non deve finire così perché io devo girare il mondo con te, perché dobbiamo ancora litigare e inseguirci per tutta la città, perché io voglio che tu mi dica ancora che sono la più bella del mondo, e perché io da quando non ci sei non provo più interesse per nulla, e perché io ti amo ancora. Dimmi dove sei.

                                                                                                                                         Giulia

venerdì 28 agosto 2015

Capitolo X

X

Le mie prime poesie le scrivevo in un diarietto verde come questo. Erano scritte a mano, in una grafia incomprensibile, con cento e passa errori e chissà quante cancellature… proprio come in questo.
Avevi mai pensato che –cancellare– una parola significa porla di sotto a un cancello?! Bisognerebbe raccoglierle, prima o poi, tutte le parole cancellate…
“Le mie poesie le scrivevo in un diarietto verde”, ebbene, dunque… non sono qui per scrivere poesie.
Un mio amico poeta mi disse, non molto tempo fa, che le lettere d’amore sono molto più belle di qualsivoglia scritto in versi, metrica e sillabe. Che una mano macchiata d’inchiostro è più romantica e sincera della luna e del sole e del mare. Di quante infinite e addobbate parole si possano avere incastrate ad arte in un metro. –L’arte del falegname è più preziosa di quella dell’orafo– ma il legno è molto, e la corteccia è dura…
Io ti amo, Giulia. Non ho paura di scriverlo, non ho paura di inciderlo nel canovaccio che sto modellando stasera per te. Ma ho paura di dirlo, ricordi tu, forse, i poeti di Lesbo? <<Quando due amanti si giurano amore, gli dèi li deridono>>. Mi sono sempre chiesto cosa volesse dire, me lo chiedo ancora oggi.
<<Gli dèi ci invidiano, compagno. Invidiano il nostro destino, ci invidiano la morte. Per noi ogni attimo è unico, irripetibile, ha il sapore del frutto che non tornerà, che noi più coglieremo. Gli dèi ci invidiano, compagno. Ci invidiano perché sono infelici>>.
Gli dèi ci invidiano, Giulia, hai un nome ancestrale che sale da un fondo di bile e paure. Così simile a “Juno”, ne condividi forse il destino, il destino greve e pesante di tutte le donne tradite.
Gli dèi ci invidiano, Giulia. Ci invidiano il senno, la follia, la gioia, il dolore. Invidiano il rosso oscillare frenetico da un moto dell’animo all’altro. Invidiano il nostro furore, Medea. Tu donna ed io uomo, che ti ho tolta ad un vecchio legame in promessa di un mondo migliore. No.
Tu Giàsone, io Medea. Fuggendo la terra natìa, e gli affetti, dimentico del sangue, di padre e di madre. Dimentico di tutto, per te.
È questo il mio atto d’amore, non circoscritto in parole fumose, non disegnato da mani incoscienti. Il mio corpo è il mio atto d’amore, e la mia testa, e le mie braccia –sempre protese alle tue– , e le mie gambe –sempre correndo alle tue–.

L’amore fa male, Giulia… giuliva, Giunone, lupita, Daniela, Andrea e tutti i nomi assurdi che ti ho dato.
L’amore è verde, ancora, per sempre. Ma verde come è verde la bile, verde come i nostri nasi sporchi di muco e di lacrime, verde come la rabbia e il terrore. Eppure questo è amore, e pure questo è amore.
Ieri mi hai scritto una lettera, l’altro ieri, mi hai scritto una lettera, e cominciava proprio così <<Ti scrivo una lettera, che vorrei leggerti a voce, perché è quello che poi ci ha unito>>.
È quello che sto facendo io adesso, e tu starai piangendo, e io vorrei che non piangessi, mai. Non per me, non per altri. Non ti lascio, lo sai. Io non ti lascio, e se ti lascio ritorno da te, sempre, fino alla morte, fino al dolore che brucia le carni, fino alle situazioni che sembrano non risolversi più, e poi si risolvono sempre.
Tu per me sei il sole, senza di cui ogni cosa poi perde colore. Giulia, tu sei il primo raggio di sole di un alba che non era mai sorta prima.
Io per te cosa sono? Mio legame indissolubile col tempo, con l’uomo, con la vita e con il tutto. Io per te cosa sono? L’uomo o la bestia? La voce o il silenzio? Sono per te la luce di un mondo sereno, o ancora l’accecamento divino dell’amore? Mi manca Genova, Giulia, mi manca Amalfi, mi mancano Creta e Parigi, mi mancano Giulia e Alessandro felici, mi mancano Giulia e Alessandro lontani dal mondo di sempre. Giulia e Alessandro grassoni, Giulia e Alessandro spensierati, appiccicati, assetati di gioia e di vita, abbronzati dal sole d’estate, affreddati per dita gelate, rimpinzati di pizze e gelati, affogati di crema e di panna!
Je t’aime mon amour, mon ami, ma soeur, ma mere, mon pere, ma fille, ma doux, mon tout, ma vie. Je t’aime toujours, parceque tu es ma femme. Parceque tu es mon coeur.


                                                                                                        Ti vorrei qui.



Seconda settimana di terapia, Villa Angela, 21 dicembre 2014.


venerdì 24 luglio 2015

Capitolo IX

IX

L’autobus delle dieci arrivò con un grande rombare, spezzando a metà il discorso di Alessandro che, assorto nei ricordi, fu colto di sopresa insieme ad Andrea. Ne uscì una donna bellissima, di età indefinibile, tra i venti ed i trenta. Incappucciata, con un cappotto dal bavero alzato che la copriva fino al collo, lasciava intravedere solo il volto e i grandi occhi verdi. La donna sorrise e il ragazzo, trattenendo un singulto, le andò incontro in silenzio. Insieme, Giulia e Alessandro attraversarono il marciapiede, mano nella mano, e...

E poi vissero. Vissero e basta, gentile lettore, se felici, se per sempre, e cosa furono gli avvenimenti di cui si parlava non è dato conoscere, che la vita, quella vera, non si può raccontare. Ti allieti però sapere che nell’alzarsi Alessandro lasciò cadere ai piedi di Andrea un libriccino verde: rilegato in cuoio, sgualcito, ma di fattura pregiata. Sulla copertina vi era scritto L’amore immaturo